INFORTUNIO A MINORE IN LUDOTECA - Tribunale di Perugia 24.01.2017

Pubblicato il 11/12/2017

Il Tribunale di Perugia, con la sentenza di data 24.01.2017, si è pronunciato sulla responsabilità del titolare di una ludoteca per l’infortunio occorso ad una minore in conseguenza di una caduta da uno scivolo gonfiabile.

Alla domanda attorea, ai sensi degli artt. 2051 c.c. o 2043 c.c., resisteva il convenuto deducendo che gravava sull’impresa il solo obbligo di garantire la sicurezza e la manutenzione dei locali e dell’attrezzatura, non anche quello di sorveglianza sui minori, che potevano accedere solo se accompagnati e che il gonfiabile non presentava alcuna anomalia.

Il Giudice, ritenendo che la vertenza rientrasse nella fattispecie di cui all’art.2051 cod. civ., rigettava la domanda degli attori, ritenendo, da un lato, che il titolare della ludoteca non sia tenuto al controllo dei minori; per altro verso l’utilizzo dei giochi non presenta di per sé una particolare pericolosità, se non quella che normalmente deriva da simili attrezzature.

Pertanto il genitore, o comunque un adulto, che accompagna il bambino in una ludoteca deve avere ben presenti i rischi che ciò comparta e quindi deve adottare la dovuta sorveglianza sul minore.

Si segnala un precedente in Cass. Civ., Sez. III, 25.08.2014 “ Il Comune non risponde, in qualità di custode, dei danni occorsi ad un minore su strutture esistenti in un parco giochi comunale, allorquando l’attrezzatura non si connoti, di per sé, per una particolare pericolosità ed il rischio connesso al suo utilizzo sia prevedibile sa un adulto che accompagni il bambino”.

Di seguito la motivazione di merito del Tribunale umbro:

“Benché la domanda svolta dagli attori assuma, a suo sostegno, una responsabilità "ex art.2051 c.c. o art. 2043 c.c. " della parte convenuta, gestore della ludoteca, valuta il giudicante che la verifica di fondatezza della pretesa risarcitoria debba essere effettuata alla stregua della disciplina dell'art. 2051 c.c., vertendosi, nel caso che ci occupa, in ipotesi di responsabilità derivante dalla custodia del bene, con ciò che ne consegue in termini di ripartizione dell'onere della prova.

In particolare, la disposizione citata pone una presunzione di responsabilità a carico del custode, che opera quando sia provato, dal danneggiato, chiaramente, il nesso causale tra il pregiudizio lamentato e la res da altri custodita, senza dover provare che il danno stesso derivi dalla condotta commissiva o omissiva del custode produttrice del danno, salvo gravare su quest'ultimo l'onere della prova del caso fortuito, cui è equiparata la condotta colpevole del danneggiato o di un terzo, quando questa possa essere considerata causa esclusiva del danno, in quanto eccezionale ed imprevedibile.

Va però ricordato che secondo l'interpretazione offerta dalla giurisprudenza di legittimità, condivisa da chi scrive, pur avendo la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia carattere oggettivo, ed essendo perciò sufficiente per la sua configurazione la dimostrazione da parte dell'attore del verificarsi dell'evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene in custodia, nei casi in cui il danno non sia l'effetto di un dinamismo interno alla cosa, scatenato dalla sua struttura o dal suo funzionamento (scoppio di una caldaia, scarica elettrica, frana della strada o simili), ma richieda che l'agire umano, ed in particolare quello del danneggiato, si unisca al modo di essere della cosa (essendo essa di per sé statica e inerte), per la prova del nesso causale occorre dimostrare che lo stato dei luoghi presentava un'obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il danno (cfr. Cass. n. 2660/13; Cass. 6306/13).

Nel caso di specie, deve innanzitutto osservarsi come parte attrice sia venuta meno all'onere della prova sulla oggettiva pericolosità della cosa, non essendo emerso dalle sue allegazioni e dalle prove introdotte che il gonfiabile ove è accaduto il sinistro fosse privo di specifiche protezioni (la cui natura neanche è stata specificamente indicata) né che l'attrezzatura in genere presentasse al momento del fatto difetti in grado di determinare pericoli anche in presenza di un utilizzo assolutamente corretto.

Nemmeno pertinente si palesa la deduzione attorea relativa alla sussistenza, in capo al convenuto, di un obbligo di "necessaria sorveglianza" dei fruitori dell'attrezzatura ludica.

Invero, la messa a disposizione, a pagamento, di un'area giochi attrezzata per bambini non include una obbligazione di sorveglianza e tutela riguardante ciascun bambino che la utilizzi; del resto ipotizzare un obbligo di vigilanza con riguardo a ciascun singolo bambino che fruisca dei giochi significherebbe porre a carico dell'esercente l'attività una obbligazione del tutto squilibrata e non riconducibile all'obbligazione di messa a disposizione assunta con il pagamento del prezzo. Dunque il custode del locale non può essere per ciò solo anche considerato custode dei fruitori del locale.

Del resto è pacifico che nel caso di specie i bambini non venissero affidati al titolare della ludoteca, ma dovevano essere accompagnati - e perciò anche sorvegliati - da adulti.

Il dovere di custodia del responsabile del gioco non può, dunque, comportarne l'automatica responsabilità nel caso in cui il bimbo che lo utilizzi si faccia male, dovendosi anzi escludere la responsabilità nel caso in cui l'adozione di un comportamento ordinariamente cauto avrebbe potuto evitare la caduta (cfr. Cass. n. 18167/14), tenuto conto che all'obbligo del custode fa pur sempre riscontro un dovere di cautela da parte di chi entri in contatto con la cosa (cfr. Cass. n. 23584/13).

In tutti i casi richiamati nelle citate pronunce, la Suprema Corte ha condivisibilmente affermato che l'utilizzo delle strutture esistenti in un parco giochi (in tutto equiparabile a una ludoteca) - a meno che non risulti provato che le stesse erano difettose e, come tali, in grado di determinare pericoli anche in presenza di un utilizzo assolutamente corretto (il che non è, nella specie, sulla base di quanto detto) - non si connota, di per sé, per una particolare pericolosità, se non quella che normalmente deriva da simili attrezzature, le quali presuppongono, comunque, una qualche vigilanza da parte degli adulti. In altri termini, un genitore (o, comunque, un adulto) che accompagna un bambino (nella specie, di quasi quattro anni di età) in un parco giochi o una ludoteca deve avere ben presenti i rischi che ciò comporta, non potendo poi invocare come fonte dell'altrui responsabilità, una volta che la caduta dannosa si è verificata, l'esistenza di una situazione di pericolo che egli era tenuto doverosamente a calcolare.

Nel nostro caso, a quanto sopra detto circa l'assenza di specifiche deduzioni in ordine a presunte irregolarità nei giochi gonfiabili, deve aggiungersi che nemmeno chiara appare, in esito all'istruttoria, la dinamica della caduta. Ciò che solo si riferisce nell'atto introduttivo è che la piccola E. - che all'epoca dei fatti non aveva compiuto quattro anni - è caduta improvvisamente, in fase discesa.

A fronte di tale insufficienza deduttiva non solo appare francamente arduo ritenere provato il nesso di causalità, ma inoltre nulla consente di escludere, anche all'esito delle prove orali, che la bambina sia caduta per via di un utilizzo improprio del gonfiabile o perché non adeguatamente vigilata dai genitori nel momento in cui lo utilizzava e, dunque, rimane ben possibile che un più cauto comportamento da parte degli adulti tenuti alla vigilanza avrebbe potuto evitare il danno. Era per altro, nella fattispecie, certamente prevedibile con ordinaria diligenza il rischio di caduta della bambina, di tenera età, e nulla consente di ipotizzare che fosse venuto meno in capo ai genitori che la accompagnavano il dovere di controllo e di vigilanza.

Né avrebbe inciso sulle considerazioni fin qui svolte l'accertata presenza, nei locali, di un regolamento relativo all'utilizzo dei giochi; si ha francamente motivo di dubitare che le modalità di utilizzo dei giochi in questione, destinati a bambini di tenerissima età, necessitassero di essere esplicitate a mezzo dell'affissione di appositi cartelli che, comunque, non avrebbero attenuato l'obbligo di sorveglianza in capo agli adulti. Ed ancora, se davvero il gonfiabile nell'occasione fosse stato "gremito di bambini di età diverse", tanti da superare la capienza del gioco (pg. 6 atto di citazione) - ma sul punto l'istruttoria non ha fornito riscontri - i genitori, nell'esercizio del loro dovere di vigilanza, avrebbero dovuto semplicemente impedire l'accesso della bambina al gioco.

Analoghe considerazioni varrebbero ove si volesse ricondurre la fattispecie alla disciplina di cui all'art. 2043 c.c.

La domanda va dunque respinta.

Le spese di lite seguono la soccombenza, cui non vi è ragione di derogare, e si liquidano in dispositivo. Parte attrice dovrà rifonderle anche alla compagnia assicurativa, sulla base del principio di causalità, poiché la chiamata in causa della società di assicurazione si è resa necessaria in relazione alle tesi sostenute da parte attrice, essendo a tal fine sufficiente rilevare che l'instaurazione del rapporto processuale fra il chiamante e il chiamato è giustificata dal contenuto della domanda proposta dagli attori verso il convenuto.”